Salwan Momika, il rifugiato iracheno (cristiano) che attirò su di sé la furia di tanti islamici per aver bruciato il Corano in segno di protesta, è stato ammazzato a colpi di arma da fuoco in Svezia, dove viveva, a quanto pare mentre era in diretta social dal suo appartamento. L'omicidio ha immediatamente suscitato una tempesta mediatica, tanto che il premier Ulf Kristersson, in conferenza stampa, ha confermato il coinvolgimento nelle indagini dei servizi segreti: "C'è il rischio che ci sia un legame con una potenza straniera".
Il procuratore Rasmus Oman ha confermato che è stata aperta un'indagine sull'omicidio del 38enne e che sono state arrestate cinque persone sospettate di essere coinvolte nel crimine. "Siamo nelle fasi iniziali, stiamo raccogliendo molte informazioni", ha dichiarato Oman. La polizia ha infatti risposto a una chiamata per una sparatoria in un condominio nella città di Sodertalje, a sud di Stoccolma, dove Momika viveva. Gli agenti lo hanno trovato ferito nel suo appartamento e lo hanno portato in ospedale, dove poi è morto.
Diversi media locali hanno riferito che la sparatoria potrebbe essere stata trasmessa in diretta sui social, con l'aggressore che sarebbe riuscito a penetrare nell'edificio passando dal tetto. Il caso ha ovviamente suscitato una grande emozione nel quartiere: "Non vogliamo che cose del genere accadano così vicino a noi, desideriamo che le persone vivano liberamente", ha dichiarato Samira Mete, pensionata di 72 anni che vive a due strade di distanza dalla scena del crimine da più di 50 anni. Momika in Svezia era diventato un personaggio molto noto e molto controverso. Lo scorso agosto, insieme al suo compagno di protesta Salwan Najem, era stato accusato di "agitazione contro un gruppo etnico" in quattro distinte occasioni nell'estate del 2023 e la prima sentenza sarebbe dovuta arrivare oggi.
L'incriminazione era arrivata dopo che le sue azioni avevano suscitato quasi una crisi internazionale, dato che al tempo la Turchia stava bloccando l'ingresso della Svezia nella Nato. In Iraq, poi, una folla inferocita aveva preso d'assalto l'ambasciata svedese a Baghdad nel luglio 2023 e nell'agosto dello stesso anno il servizio d'intelligence svedese Sapo aveva innalzato il livello di minaccia a quattro su una scala di cinque, affermando che i roghi del Corano avevano reso il Paese un "obiettivo prioritario". Insomma, le provocazioni di Momika - che diceva di voler mettere in guardia la società svedese "dai pericoli di quel libro" - si erano ben presto trasformate in un grattacapo diplomatico, anche perché il diritto di protesta e di espressione è garantito dalla costituzione svedese. Tanto che all'epoca il governo condannò le profanazioni ma fece al contempo notare il diritto alla libertà di parola. Non è dunque un caso che il vice primo ministro, Ebba Busch, abbia definito l'omicidio "una minaccia alla nostra libera democrazia" che "deve essere affrontata con tutta la forza della società". "C'era una taglia sulla sua testa", ha affermato la sua avvocata Anna Roth. I rapporti però con le autorità si erano guastati. Nell'ottobre 2023 l'Agenzia per la migrazione gli ha revocato il permesso di soggiorno, per "informazioni false" nella sua domanda originale, ma gliene aveva concesso un temporaneo. Il mese precedente l'Iraq aveva chiesto la sua estradizione per uno dei roghi del Corano ma Stoccolma aveva deciso di non espellerlo. Nel marzo 2024 Momika aveva lasciato il Paese per chiedere asilo in Norvegia, dichiarando che la libertà di espressione e la protezione dei diritti umani in Svezia erano "una grande bugia". Ma Oslo lo rispedì indietro poche settimane dopo.
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