"Una piccola tassa su sette delle
maggiori aziende petrolifere del mondo (ExxonMobil, Shell,
TotalEnergies, BP, Chevron, Equinor, Eni) consentirebbe di
aumentare il fondo delle Nazioni Unite per risarcire le perdite
e i danni causati dagli eventi climatici estremi (al momento
fermo a 702 milioni di dollari promessi) di oltre il 2.000%". È
quanto afferma una ricerca di Greenpeace International e Stamp
Out Poverty, presentata oggi al vertice sul clima di Baku
(COP29), in cui si chiede l'introduzione di una tassa
sull'estrazione dei combustibili fossili, combinata ad altri
tipi di prelievi come le tasse sugli extra-profitti.
Partendo da una tassa sui danni climatici di 5 dollari per
ogni tonnellata di CO₂ equivalente emessa, le sette aziende
dovrebbero versare circa 15 miliardi di dollari nel primo anno,
a fronte dei quasi 150 miliardi di dollari guadagnati nel 2023.
Se poi la tassa venisse applicata in tutti i Paesi Ocse con
un aumento progressivo di 5 dollari all'anno e un'inflazione
annua del 2%, si potrebbero raccogliere 900 miliardi di dollari
entro il 2030 per sostenere i governi e le comunità di tutto il
mondo che devono affrontare i crescenti impatti della crisi
climatica, in particolare nei Paesi più poveri e vulnerabili.
Intanto stamani protesta degli attivisti di fronte alla sede
dell'Eni con un grande cumulo di oggetti distrutti dalle recenti
alluvioni avvenute in Emilia-Romagna e nello stato del Rio
Grande do Sul (Brasile), ed il messaggio "Chi rompe paga".
«Non possiamo più accettare che a pagare il prezzo degli eventi
climatici estremi siano le persone che vedono la loro vita e il
loro futuro messi in pericolo, mentre i giganti dei combustibili
fossili continuano a fare profitti record con il loro business
distruttivo», dichiara Federico Spadini della campagna Clima di
Greenpeace Italia.
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