(di Francesco Nuccio)
La telefonata alla redazione
siciliana dell'ANSA arrivò nel pomeriggio. "Domani mattina
qualcuno vada a farsi una passeggiata al Liceo Garibaldi. Forse
c'è una notizia". Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa,
nominato un mese prima prefetto di Palermo, non aggiunse altro.
Non ce n'era bisogno.
L'indomani si presentò senza scorta davanti all'istituto.
Nessuno era stato avvisato del suo arrivo, tranne la presidenza
che fece subito radunare gli studenti nella palestra della
scuola per un incontro improvvisato. Un botta e risposta tra gli
studenti del liceo classico e il generale che aveva sconfitto il
terrorismo che si trasformò in una sorta di "lezione" sulla
mafia. La prima in una scuola della città. Nessun rappresentante
delle istituzioni, fino a quel giorno, aveva parlato di legalità
e lotta alla mafia nelle scuole. Solo negli anni seguenti alcuni
magistrati a cominciare da Rocco Chinnici, fondatore del pool
antimafia, avrebbero proseguito sulla strada tracciata dal
prefetto che decise di incontrare anche i ragazzi del "Gonzaga",
l'istituto dei Gesuiti frequentato dai figli della buona
borghesia della città.
"Non c'è bisogno di qualcuno in cui credere, ma di qualcosa in
cui credere. sono con voi e tra voi perché credo - senza ombra
di retorica - nella vostra gioventù" esordì Dalla Chiesa
rivolgendosi agli studenti. "Io credo ancora che esistano
valori, soprattutto perché noi siamo uomini e non numeri".
Rispondendo alle domande senza filtro degli studenti, anche
quelle più scomode, Dalla Chiesa non si sottrasse alle
sollecitazioni sul rapporto tra mafia e politica. "La mafia -
spiegò - si attacca come una ventosa dove c'è il potere, quindi
anche alla politica". E aggiunse: "La mafia è un modo di essere,
un modo di pensare che travolge chiunque; noi dobbiamo
combatterla anche contrastando il metodo della clientela, la
pratica della raccomandazione".
"Generale, cosa è venuto fare a Palermo? Pensa davvero di
riuscire a sconfiggere la mafia?" chiese uno studente prima
della conclusione dell'incontro. "Io sono come una fiammella che
lo Stato ha voluto accendere in questa capitale bellissima che è
Palermo" rispose Dalla Chiesa. Era il 3 giugno del 1982.
Esattamente tre mesi dopo, il 3 settembre, un commando di Cosa
Nostra spegneva quella "fiammella" a colpi di kalashnikov.
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