Radici e ali, affetto e regole, perché "i gesti della cura di un papà costruiscono l'identità del bambino". Alberto Pellai torna a parlare di genitorialità e questa volta si rivolge direttamente ai padri con il libro "Nella pancia del papà" (Salani), scritto con l'obiettivo di ripensare e ridefinire il ruolo paterno, donandogli una nuova centralità.
Il volume, con le illustrazioni di Cristina Lo Cascio, propone una serie di filastrocche nelle quali un bambino parla al suo papà esprimendogli esperienze, bisogni, timori, gioie e desideri: storie semplici e delicate, per accompagnare grandi e piccoli in un viaggio unico e speciale, che inizia con la crescita e poi non ha mai una fine. "Con una narrazione emotiva volevo aprire un dialogo su ciò che accade nel passaggio da uomo a padre: dobbiamo ricordare che è il figlio a far nascere il padre, non viceversa", spiega all'ANSA l'autore, psicoterapeuta ed esperto di età evolutiva. "Questo libro torna ora in una nuova edizione: lo avevo scritto quasi 20 anni fa, poco dopo la nascita di mia figlia".
"Nella pancia del papà" si sofferma molto sulla tenerezza, un sentimento che spesso sottovalutiamo, anche in famiglia. "Il tema della tenerezza paterna è particolare, siamo abituati ad affrontarlo spesso solo in una prospettiva religiosa, con un Dio padre amorevole e tenero in contrasto con un Dio giudice e autoritario: nel libro la racconto partendo dalla sofferenza e dalla fatica che molti papà provano all'idea di abbandonare lo stereotipo del vero uomo. Spesso la tenerezza e la paura sono considerate dagli uomini come elementi di fragilità, anche nel rapporto con i propri figli", racconta Pellai. "La tenerezza sposta il papà nel territorio degli affetti, un aspetto poco raccontato", prosegue, "l'uomo tutto d'un pezzo non cede alla tenerezza. E non è un caso che gli uomini parlino molto poco tra loro di paternità, preferiscono parlare di politica e sport, ma non del proprio privato. Invece è importante parlarne: anche le neuroscienze ci dicono ormai che la connessione emotiva con il proprio bambino determina nel padre una riduzione di testosterone, e un aumento di ossitocina e prolattina, gli ormoni della tenerezza".
Molto spesso capita che se un papà partecipa attivamente alla cura dei figli sia chiamato "mammo", evidenziando così l'eccezionalità di un comportamento da sempre riconducibile solo e soltanto alla mamma. Questo danneggia i papà? "Il termine mammo non fa bene ai padri, chiamandoli in questo modo sembra che debbano imitare le mamme, invece non è così. I papà usano il codice paterno per gesti di cura che li fanno sentire autonomi, che fanno entrare in gioco in loro il senso di responsabilità", afferma l'autore. "Il tema è cruciale anche nel nodo della conciliazione famiglia-lavoro, da sempre declinato al femminile: in questo qualcosa sta cambiando per fortuna, molte aziende adesso vanno incontro anche ai padri". Il cambiamento, secondo Pellai, è iniziato "dopo il femminismo: negli anni '70 e '80 i padri curavano i bambini come mai avevano fatto le generazioni precedenti, ma oggi il dibattito sulla paternità è mutato ancora, spostandosi da ciò che devi fare a ciò che è importante e che vuoi fare. I gesti della cura paterna costruiscono l'identità del bambino: ma sono importanti anche per la prevenzione della violenza di genere. Imparando la cura e la tenerezza, i bambini disimparano il codice della violenza e della potenza".
Ma quali sono le paure dei genitori di oggi? "Il tema principale adesso è l'ansia, in due direzioni: da un lato c'è un senso di inadeguatezza, la paura di non essere bravi", riflette Pellai. "E poi c'è l'ansia protettiva, l'idea che il bambino vada messo a riparo. Il rischio in questo caso è quello che chiamiamo il papà peluche, ossia un padre che non riesce ad avere un ruolo di stabilizzatore. Se la mamma da sempre tende a proteggere il bambino, a tenerlo più chiuso rispetto all'esterno, il papà deve essere il promotore dell'uscita del bambino verso il mondo. Ed è importante che mantenga questo ruolo".
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