"Alle Dottoresse Antonella Cacchione, Angela Mastronuzzi e Gessica Della Bella, al Dottor Carlo Efisio Marras, a Orlandina e a tutto il personale sanitario dei reparti di Oncoematologia Pediatrica e Neuro Riabilitazione del Bambino Gesù di Roma e Palidoro, per avermi salvato dal fondo e avermi indicato la strada. Ai miei compagni di stanza, a Saverio, Giovanni, Ismaele, Soave e Ivan, scintille in quel buio. Spero che la vostra vita adesso abbia superato le vostre aspettative.
Questo percorso è dedicato a voi". Sono le due dediche che aprono la tesi di Laurea di Luigi Tramonte, 29 anni ed ex paziente del Bambino Gesù per un tumore al cervelletto che lo ha colpito quando aveva 15 anni. Una esperienza traumatica che lo ha guidato nella scelta di diventare, oggi, un medico e dalla quale, racconta, ha tratto un grande insegnamento: "In percorsi di vita difficili come quello della malattia, è fondamentale non sentirsi soli, fare squadra e condividere".
Se prima si sentiva "vicino al fondo", adesso, con una laurea in Medicina conseguita ieri, all'Università La Sapienza di Roma, Luigi guarda al futuro con il sogno di diventare un medico di famiglia. "Per la specializzazione ho scelto Medicina Generale perché vorrei da medico costruire con i pazienti, in particolare con gli adolescenti, un legame di fiducia", afferma. Una scelta di vita che lo ha allontanato dal suo amore per la letteratura, una passione che però conta di riscoprire. La storia di Luigi ha inizio nel settembre 2010, quando aveva 15 anni e viveva a Massafra in Puglia, dove frequentava il liceo scientifico. I segnali d'allarme di quello che poi si sarebbe scoperto essere un tumore al cervelletto non furono compresi subito. "I sintomi più frequenti e che allora nessuno riusciva a capire a cosa fossero dovuti erano vertigini, mal di testa, vomito e acufeni.
A portarmi in pronto soccorso fu l'emiparesi di tutta la parte sinistra", racconta. Fu così che, dalla Puglia Luigi, si recò per fare una risonanza prima al Besta di Milano, dove però non c'era disponibilità, e poi al Bambin Gesù di Roma. "Prima di andare nella sede di Palidoro, sono stato circa due settimane alla sede del Bambino Gesù al Gianicolo, dove ho subìto due interventi. Nel primo mi hanno asportato il tumore, mentre la seconda volta sono intervenuti per drenare l'emorragia interna, una complicazione piuttosto frequente". "Una cosa che ricordo in particolare è stata la sensazione di felicità quando è finalmente arrivata la diagnosi e mi hanno detto che mi avrebbero operato. Quello per me voleva dire la fine di tutti quei sintomi che all'inizio nessuno capiva e che temevo che mi avrebbero accompagnato per tutta la vita".
"Se c'è un messaggio che voglio mandare oggi ai pazienti - dice - è il fatto che non sono soli. Io l'ho vissuta la sensazione di solitudine in ospedale. Tuttavia, proprio perché lì sei a contatto con gli altri pazienti, ci si sente tutti come un'unica grande famiglia e, nel mio caso, siamo riusciti a fare squadra". Un senso di comunità che aiuta tanto, anche nei piccoli gesti, "come quando il papà di Ismaele, che era cuoco, preparava il pranzo anche per me", racconta.
Oggi, Luigi ha superato il periodo più buio della malattia ma non dimentica quei momenti e le persone con le quali li ha condivisi. Senza di loro, dice, "non sarei qui". Ecco perchè la sua tesi ha in testa i loro nomi: "I medici che mi hanno curato, perchè senza di loro, senza la loro vicinanza e sostegno non mi sarebbe mai scattata quella scintilla che mi ha spinto a scegliere di indossare il camice bianco. Sono stati la mia ispirazione. E poi i compagni in ospedale, perchè senza la condivisione di quella esperienza non avrei maturato, ancora una volta, questa scelta di vita". "Non farò l'oncologo - conclude Luigi - perchè sarebbe per me troppo doloroso, un continuo ricordare. Ma farò il medico di famiglia, per stare a contatto con il maggior numero di persone possibile garantendo quella empatia e quella vicinanza che sono fondamentali per i pazienti, le stesse che i 'miei' medici mi hanno sempre regalato".
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