Sviluppata una nuova bioplastica 'vivente' in grado di auto-digerirsi: contiene spore di un batterio innocuo che, a contatto col terreno, si riattiva e degrada fino al 90% del materiale nel giro di cinque mesi. Il risultato, che potrebbe contribuire a ridurre l'impronta ecologica dell'industria, è pubblicato sulla rivista Nature Communications dall'Università della California a San Diego e dall'Università americana della Georgia.
I ricercatori hanno lavorato su un particolare materiale, il poliuretano termoplastico (Tpu), che unisce le caratteristiche della gomma e della plastica ed è utilizzato per realizzare prodotti come calzature, tappetini, cuscini e memory foam. Per renderlo biodegradabile, lo hanno arricchito con spore di Bacillus subtilis, un batterio già noto per la sua capacità di rompere i polimeri plastici. "È una proprietà intrinseca di questi batteri", osserva il coordinatore dello studio Jon Pokorski dell'Università della California. "Abbiamo preso alcuni ceppi batterici e valutato la loro capacità di utilizzare i Tpu come unica fonte di carbonio, quindi abbiamo scelto quello che cresceva meglio". I ricercatori hanno utilizzato in particolare le spore del batterio (cioè la forma dormiente, specializzata nel resistere in condizioni ambientali estreme) 'allenandole' a sopravvivere a temperature molto elevate. Le spore, infatti, sono state unite al pellet di Tpu mescolando il tutto a 135 gradi per riversare poi il materiale nell'estrusore, con cui sono state prodotte striscioline di materiale plastico 'vivente'.
Per testarne la biodegradabilità, i ricercatori hanno lasciato le strisce in un terriccio comune o sterile, mantenuto a 37 gradi con un'umidità relativa compresa tra il 44% e il 55%. L'acqua e i nutrienti presenti nel terreno hanno fatto germinare le spore: così i batteri riattivati hanno degradato il Tpu al 90% in cinque mesi. “Ciò che è notevole è che il nostro materiale si decompone anche senza la presenza di ulteriori microbi”, aggiunge Pokorski. “È probabile che la maggior parte di questa plastica non finirà in impianti di compostaggio ricchi di batteri. Quindi questa capacità di auto-degradarsi in un ambiente privo di microbi rende la nostra tecnologia più versatile”.
Ulteriori test di laboratorio hanno dimostrato che le spore batteriche sono doppiamente utili: non solo degradano il materiale plastico a fine vita, ma prima ne migliorano le proprietà meccaniche, rendendolo più resistente ed elastico. I ricercatori sono già al lavoro per valutare la fattibilità di una produzione su scala industriale.
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