Il Museo internazionale delle
ceramiche di Faenza (Ravenna) dedica dal 18 gennaio al 27 aprile
una mostra a Giacinto Cerone (1957-2004), uno dei più originali
e liberi scultori italiani, lontano da raggruppamenti, scuole,
movimenti, stili o mode del momento. L'irruenza del suo
linguaggio si misura a partire dai differenti materiali
impiegati sia nella produzione scultorea (legno, ceramica,
plastica, metallo, marmo, gesso, pietra) che in quella
disegnativa, per lo più indipendente dalla realizzazione delle
opere plastiche, oltre che nell'uso di tecniche legate alla
velocità e alla gestualità. Faenza è stata per Cerone una meta
preferenziale fin dal 1993, quando presso la bottega Gatti
realizzò una serie di ceramiche smaltate utilizzando tecniche di
lavoro forse poco ortodosse ma di forte espressività e
sperimentando un grande varietà di colori e forme.
Il Mic, che di Cerone possiede in collezione diverse opere,
dedica all'artista, a vent'anni dalla scomparsa, la mostra
'L'angelo necessario. Sculture e disegni' che raggruppa circa 45
sculture di vari materiali e periodi, più una serie di 35
disegni, alcuni di grande formato, privilegiando il modo stesso
di operare di Cerone: per serie tematiche - come nelle rosse
Malerbe, i Fiumi vietnamiti, i Gessi, i Metalli - o per singole
opere dal carattere emblematico e per certi versi iconico e
funerario, come Cenacolo e Ofelide. In questa tensione si gioca,
nella diversità dei materiali, la struttura curatoriale della
mostra, quella sorta di "figura approssimativa", "intravista, o
vista un istante" descritta dal poeta statunitense Wallace
Stevens.
La mostra, a cura del critico d'arte Marco Tonelli, promossa
dal Mic con il sostegno dell'Archivio Cerone e di prestatori
privati, vuole delineare la figura di uno scultore a tutto tondo
e di una scultura totale (capace di distendersi orizzontalmente
o addossarsi alle parete), senza resti, di un artista attento
anche al modo di installare le proprie esposizioni come fossero
esse stesse opere in sé.
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