Le braccia alzate in segno di vittoria. Il lungo applauso dei partiti europeisti. Il sospiro di sollievo di Parigi e Berlino. Ha vinto lei, Ursula von der Leyen. Ha vinto in maniera netta, ottenendo l'agognato bis alla testa della Commissione europea con 401 voti favorevoli (284 i contrari, 15 gli astenuti), 41 in più del quorum necessario, diciannove in più del 2019, quando però l'Eurocamera era composta da 751 membri. Von der Leyen ha vinto grazie ai tre partiti della maggioranza Ursula, Popolari, Socialisti e Liberali. Ma ha vinto soprattutto grazie ai Verdi. Ora dovrà gestire un insieme di quattro gruppi uniti dalla fedeltà all'Europa e all'Ucraina ma non certo segnati dalla coesione, soprattutto sul Green Deal. Eppure Ursula ha raggiunto il primo dei suoi obiettivi: basare il suo mandato su un "centro democratico" dando un calcio a qualsiasi deriva estremista della sua maggioranza.
Ci sarà un primo e un dopo nei rapporti tra la Commissione e l'Italia dopo il voto della plenaria. A Strasburgo, infatti, Giorgia Meloni ha portato a compimento il suo strappo con lo status quo comunitario, iniziato al Consiglio europeo di fine giugno. A Bruxelles la premier aveva votato contro i successori di Charles Michel e Josep Borrell, Antonio Costa e Kaja Kallas, astenendosi su von der Leyen. In Alsazia Fratelli d'Italia ha votato contro la presidente della Commissione, prima volta per l'Italia per un partito che esprime il presidente del Consiglio. Il sì dei Verdi, ha spiegato Carlo Fidanza, ha reso "impossibile" il voto dei meloniani. In Aula, dopo il discorso di von der Leyen, il co-presidente di Ecr Nicola Procaccini era stati duro, ma non durissimo, sottolineando che la neopresidente conterà sul sostegno di chi ha perso le elezioni. FdI è stata l'unica delegazione italiana a non dichiarare la sua posizione, se non a pochi minuti dal termine dello scrutinio. Ma il voto contrario era nell'aria già dopo il colloquio telefonico di qualche ore prima tra von der Leyen e Meloni. La presidente aveva ribadito le sue linee guida. E chiarito che il Green Deal, seppur in un'ottica diversa, resterà una stella polare. I rapporti tra von der Leyen e Meloni, hanno osservato fonti europee qualificate, non si chiuderanno per gli effetti della scelta di FdI. Ma rispondendo ad una domanda sulla posizione degli italiani di Ecr, la presidente della Commissione è stata gelida: "Abbiamo lavorato per una maggioranza democratica. Il risultato dimostra che l'approccio è stato giusto", sono state le parole di von der Leyen, che ha invece pubblicamente ringraziato i Verdi. Di fatto il gruppo dei Greens ha evitato che i franchi tiratori - oltre cinquanta - affossassero l'ex ministra tedesca creando un caos che in fondo nessuno voleva.
Von der Leyen ha vinto la sua partita al termine di una trattativa impeccabile e paradossalmente grazie anche ad elezioni europee che hanno indebolito l'asse franco-tedesco: a Emmanuel Macron e Olaf Scholz non restava che appigliarsi a Ursula per riguadagnare influenza rispetto alla cavalcata delle destre. A parte i cechi e i belgi, tutta Ecr ha votato contro von der Leyen, così come i Patrioti e l'ultradestra di Europa delle Nazioni sovrane. Anche The Left ha votato no ma per lei il cordone sanitario non ci sarà. Forza Italia è stato l'unico partito di governo in Italia che si è uniformato alla nuova maggioranza Ursula. Il Pd ha di fatto azzerato i suoi franchi tiratori, convinto dalle aperture nel programma ai temi del sociale, all'emergenza abitativa e al dossier della transizione. "Serve un'Europa forte, il destino dipende da noi", è stato l'appello di von der Leyen all'Aula. Il termine Green Deal, di fatto, sarà sostituito dal Clean Industrial Deal, con cui la Commissione proverà a uniformare tutela delle imprese e mantenimento della rotta ambientale. Difesa e Intelligenza Artificiale saranno alcune delle altre priorità del von der Leyen bis. La sua conferma, celebrata da Volodymyr Zelensky, mantiene l'Ue a fianco di Kiev e lontana da Pechino, nell'attesa che gli Usa svelino, o meno, la loro anima trumpiana. E il principale alleato di The Donald, Viktor Orban, non avrà vita facile. "La sua a Mosca non è stata una missione di pace ma una missione di appeasement", ha scandito von der Leyen. E' stata una delle prime volte che ha attaccato frontalmente il premier ungherese. E' forse anche questo è un segno che, nel suo bis, Ursula sarà anche più forte.
I NUMERI DEL VOTO - Poco più di quaranta voti di scarto per assicurarsi altri cinque anni alla guida di Palazzo Berlaymont. Sono 401 gli eurodeputati che a Strasburgo hanno sostenuto il nome di Ursula von der Leyen per un secondo mandato da presidente della Commissione europea. La soglia minima necessaria per essere rieletta era di 360 voti e l'ex ministra della Difesa tedesca è riuscita a superarla ampiamente con la forza della sua vecchia maggioranza Ursula formata da Popolari, Socialisti e Liberali - che cinque anni fa la incoronò regina d'Europa - allargata questa volta anche ai Verdi che nel 2019 non la sostennero. Con il favore dichiarato dei quattro gruppi europeisti, von der Leyen sulla carta avrebbe potuto contare su un totale di 454 sì che nel segreto delle urne sono scesi a 401. Oltre cinquanta, dunque, i franchi tiratori che hanno rotto le righe.
Andando ad analizzare i voti gruppo per gruppo, alcune defezioni si sono verificate anche nel Ppe, la famiglia della presidente, dove diversi esponenti nelle delegazioni slovena, croata e francese stando alle prime indiscrezioni avrebbero votato contro la loro stessa candidata di punta. Tra i liberali, i tedeschi del Fdp del ministro delle Finanze Christian Lindner e un eurodeputato irlandese avrebbero scelto di non sostenerla, mentre è rimasto in apparenza saldo il fronte socialista, dove anche il Pd ha votato compatto per il sì. Senza il sostegno di Fratelli d'Italia tra le fila dei Conservatori per la maggior parte contrari, l'appoggio dei Verdi si è dunque rivelato decisivo: circa 40 su 53 gli eurodeputati ecologisti che hanno sostenuto von der Leyen nonostante un impegno considerato tiepido sul Green deal. A non seguire le indicazioni di voto tra i Verdi è stata in particolare la delegazione francese.
Le defezioni - tradizionalmente rappresentate da un 10-15% di franchi tiratori - e le ribellioni agli ordini di scuderia hanno comunque animato l'intero arco politico: von der Leyen ha così potuto contare sugli eurodeputati sciolti degli altri gruppi che non ne hanno ufficialmente sostenuto la candidatura, come i conservatori cechi dell'Ods e i fiamminghi dell'N-Va tra le fila dell'Ecr. E, contro ogni previsione, la presidente ha incassato un maggior sostegno rispetto al 2019, quando venne eletta con 383 voti a sostegno, appena nove in più della maggioranza assoluta dell'epoca. Determinante, in quell'occasione, il sostegno del M5s e dei polacchi di Diritto e Giustizia (Pis). Un bis ottenuto con più sì della riconferma di José Barroso nel 2009 (382 sì, contro i 413 della prima volta, nel 2004) e senza segnare una distanza troppo ampia dai 422 consensi di Jean-Claude Juncker nel 2014.
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