A sette anni di distanza dall'omicidio di Pamela Mastropietro, 18enne romana uccisa e fatta a pezzi in un'abitazione a Macerata il 30 gennaio 2018, la Cassazione pronuncia la sentenza definitiva sulla vicenda con la conferma dell'ergastolo per Innocent Oseghale, 36enne pusher nigeriano.
Respinto il ricorso straordinario della difesa che puntava ad escludere, per asseriti errori materiali, l'accusa di violenza sessuale, un'aggravante agli addebiti di omicidio volontario, distruzione e occultamento di cadavere, determinante per l'ergastolo.
Il verdetto chiude di fatto una lunghissima vicenda giudiziaria dopo sette anni di processi tra cui due in Corte d'Assise d'appello e tre in Cassazione. "Oggi è una giornata importante per me e per la mia famiglia. - scrive in un post social Alessandra Verni, madre di Pamela, che si è sempre battuta per ottenere giustizia per la figlia - Sono felice e sollevata per la decisione dei giudici che hanno rigettato il ricorso straordinario degli avvocati di Oseghale. Questa sentenza rappresenta un passo significativo verso la giustizia per mia figlia Pamela e per tutte le vittime di atrocità come quelle che abbiamo vissuto. È fondamentale che la verità venga riconosciuta e che chi ha compiuto atti così gravi ne risponda. La lotta per la memoria di Pamela continua, - conclude - e oggi questa decisione ci dà nuova forza e speranza. Ringrazio tutti coloro che ci hanno sostenuto in questo percorso e che continuano a lottare per la giustizia insieme a noi".
Era il 31 gennaio 2018 quando, poco fuori Macerata, vennero trovati due trolley all'interno dei quali vi erano i resti di una ragazza poi identificata come la giovane che due giorni prima si era allontanata da una comunità terapeutica del Maceratese dove si trovava per disturbi di personalità borderline e di droga.
Fatti che sconvolsero l'Italia e che innescarono subito indagini culminate nell'arresto di Oseghale ma anche altri eventi, solo per caso fortuito non finiti in tragedia. Emerse che Pamela aveva incontrato il 36enne quel 30 settembre e che lui aveva fatto da intermediario per procurarle eroina da un altro pusher.
Poi la ragazza venne stuprata, quando era sotto l'effetto della droga, uccisa a coltellate e fatta a pezzi da Oseghale nell'abitazione di via Spalato 124 per farne sparire il corpo. Qualche giorno dopo, il 3 febbraio 2018, Luca Traini, a bordo di un'Alfa nera, ferì sei migranti a colpi di pistola per le strade di Macerata, dicendo di voler vendicare Pamela: è poi stato condannato a 12 anni di carcere, con pena definitiva in Cassazione, per strage aggravata dall'odio razziale e porto abusivo dell'arma.
Oseghale ha sempre respinto le accuse di omicidio e di stupro ma ha ammesso di aver smembrato il corpo. Secondo i difensori, avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, l'accusa di stupro avrebbe dovuto essere esclusa per un errore materiale della Suprema Corte: il 36enne sostiene di avere avuto un rapporto sessuale consenziente con Pamela, prima di recarsi nell'abitazione, dietro la promessa di farle avere l'eroina da un suo amico; per la difesa, non vi sarebbe stata alcuna violenza sessuale in casa in condizione di minorata difesa.
La tesi è stata respinta dalla Corte ma, a giudizio dell'avvocato Matraxia, il fatto che il ricorso straordinario sia stato respinto, ma non dichiarato inammissibile, dimostrerebbe che le ragioni dell'impugnazione avevano un fondamento. Dal carcere Oseghale ha chiesto notizie dei propri famigliari. "Anche a me manca mia figlia - ha replicato la madre di Pamela - vorrei anch'io rivederla".
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