Nel 1868, a Italia appena
unificata, il governo chiese a tutte le prefetture di avviare un
censimento dei teatri attivi sul territorio nazionale. Ed emerse
un dato enorme: ben 942 palcoscenici aperti, un numero che non
trova analogie nel resto dell'Europa. Parte da questo dato la
conversazione con Maurizio Roi, direttore del Festival musicale
di Lerici e la docente Carlotta Sorba, autrice nel 2001 per Il
Mulino di un prezioso volume che costituisce il punto di
partenza per il dibattito: Teatri. L'Italia del melodramma
nell'età del risorgimento.
"Il dato molto interessante - spiega Carlotta Sorba che è
stata recentemente nominata la nuova curatrice di 'La storia in
piazza' a Palazzo Ducale di Genova - è che il grande numero si
spiega con il ruolo svolto dai teatri nell'Ottocento di luogo di
aggregazione della comunità. Il Teatro è emanazione della
società: prima lo edificava l'aristocrazia, nell'Ottocento è la
borghesia a pretenderlo e a finanziarlo. Del resto la gestione
dei palchettisti è una invenzione tutta italiana, non trova
riscontro da nessun'altra parte". I teatri, dice Roi, "nascono
municipali, l'opera è la prima industria culturale italiana. È
un dato che ancora oggi ci deve far riflettere".
La gestione dei teatri d'opera, del resto, è sempre stata
oggetto di riflessione, riforme, tentativi di rilancio più o
meno riusciti. Nei giorni scorsi sono state pubblicate
indiscrezioni relative alla possibilità che il ministero metta
mano alla formazione dei Consigli d'indirizzo delle Fondazioni,
aumentando il peso del controllo governativo e riducendo il
ruolo del sovrintendente: "In realtà - spiega Roi - esiste da
tempo una legge delega dello Spettacolo che attende i decreti
attuativi. I termini per la loro emanazione sono scaduti da
tempo e si è andati avanti con proroghe. Certamente qualcosa da
ritoccare c'è. Credo che per la nostra storia il ruolo dei
Comuni debba rimanere centrale, perché i teatri devono
continuare a essere emanazione della comunità che ci vive
intorno. E il sovrintendente è di fatto una sorta di
amministratore delegato che media fra visioni differenti, che
sceglie il proprio consulente artistico: la programmazione non è
che la traduzione culturale di un progetto che la Fondazione
deve elaborare e realizzare. La gestione è comunque molto
delicata. In epoca covid molte Fondazioni hanno migliorato i
propri bilanci, ma il rischio di scivolare di nuovo negli abissi
è molto reale".
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