Ha portato avanti una "attività di
propaganda apologetica" dell'Isis e del jihad sui social, con
messaggi ma anche con "like" a post, ha inviato denaro "a
persone vicine all'organizzazione terroristica", ha avuto la
"possibilità" di entrare "in piattaforme protette" attraverso i
suoi "contatti" con "livelli intermedi o propaggini finali",
anche "mediamente e flebilmente riconducibili
all'organizzazione". E con "un commento" a un post "ha proferito
minacce nei confronti di esponenti delle istituzioni italiane",
tra cui Giorgia Meloni.
Lo scrive la gup di Milano Tiziana Landoni nelle motivazioni
della sentenza con cui, lo scorso novembre, ha condannato a 5
anni di reclusione per partecipazione ad associazione con
finalità di terrorismo, con rito abbreviato, Alaa Refaei, 45
anni egiziano con cittadinanza italiana e una delle due persone
arrestate il 17 ottobre 2023 per aver portato avanti, per
l'accusa, su gruppi online "una consapevole e deliberata
attività di proselitismo via social a favore dell'Isis", oltre
che finanziamenti, in particolare, per donne vedove di
combattenti jihadisti.
Dagli atti delle indagini del pm Alessandro Gobbis, della
Digos e della Polizia Postale, era emerso anche che Refaei, nel
2022, rispondendo ad un commento in un video nel quale vi era
l'immagine della presidente del Consiglio Giorgia Meloni con
Silvio Berlusconi, aveva scritto: "sappiamo benissimo come
zittirli e fermarli al momento giusto... viviamo con loro da
banditi... pronti a colpirli a ciabattate...".
Refaei, così come Mohamed Nosair, l'altro arrestato e
condannato a Monza con rito ordinario a 5 anni e mezzo, si era
difeso sostenendo di avere avuto solo "simpatie" per l'Isis,
quando combatteva contro Assad in Siria e in Iraq, e che mai
sarebbero passati all'azione. E che i loro erano soltanto
"proclami sterili". La difesa, col legale Salvatore Arcadipane,
presenterà ricorso in appello.
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