Di maxi, la prima pagina della
storia potentina del processo 'Ambiente svenduto', sul presunto
disastro ambientale prodotto tra il 1995 e il 2012 dall'ex Ilva
di Taranto durante la gestione della famiglia Riva, ha avuto
solo l'organizzazione logistica. Rispetto alle diverse centinaia
di persone coinvolte, nel Palazzo di Giustizia del capoluogo
lucano sono arrivati "solo" gli avvocati impegnati nell'udienza
preliminare (dopo due ore aggiornata al 4 aprile prossimo) e
poche decine di cittadini e di rappresentanti di associazioni
ambientaliste. Segnali evidenti di un procedimento che, almeno
per i reati minori, pare aver preso sempre più la direzione
della prescrizione. Non a caso, già prima della fissazione
dell'udienza preliminare, il numero degli imputati è sceso fino
a 23: nelle prossime settimane il numero è destinato a calare
ulteriormente.
Trasferito a Potenza dopo l'annullamento, per la presenza di
due giudici onorari tra le numerose parti civili, pronunciato
dalla Corte d'Assise d'Appello di Taranto (sezione distaccata di
Lecce) della sentenza di primo grado con le 26 condanne, per 270
anni di carcere, inflitte il 31 maggio 2021, il procedimento è
così ripartito da zero. Tra i 23 imputati, ci sono i fratelli
Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori
dell'impianto tarantino (condannati rispettivamente a 22 anni e
a 20 anni di reclusione), l'ex direttore dello stabilimento di
Taranto Luigi Capogrosso (21 anni) e l'ex governatore pugliese
Nichi Vendola (che fu condannato a tre anni e mezzo di
reclusione per concussione aggravata in corso).
Sono invece 282 le parti offese, a Potenza quasi tutte
rappresentate solo dagli avvocati.
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