(di Francesco Gallo)
La forza di una madre non ha limiti
quando si tratta di figli come ha dimostrato tanta letteratura.
E nel caso di Vogter (Sons) del regista svedese Gustav Möller,
oggi al Bif&st nella sezione Frontiere e dal 27 marzo nelle sale
italiane con Movie Inspired, questo è anche più vero perché la
protagonista della storia è una malinconica e non più giovane
guardia carceraria, Eva (Sidse Babett Knudsen), la cui vita
sembra animarsi e prendere un po' di luce all'arrivo nel carcere
di un particolare detenuto.
E il regista Gustav Möller, che ha vinto il premio del pubblico
al Sundance con il suo film precedente 'The Guilty', ci va giù
pesante con questo thriller psicologico perché non rivela, fino
a quasi la fine, la natura di questo suo interesse per questo
ragazzo super tatuato e violento che si chiama Mikkel (Sebastian
Bull) .
È certo però che Eva fa di tutto inspiegabilmente per
avvicinarlo tanto da mischiare le carte pur di farsi assegnare
al reparto più pericoloso del carcere dove è stato confinato
Mikkel.
Una volta raggiunto il ragazzo la donna cercherà poi ogni
occasione per rendergli la vita impossibile, per rendere ancora
più infernale questo carcere di massima sicurezza già
impossibile da vivere.
Tra le scene cult di 'Sons', già in concorso al Festival di
Berlino, quelle di Eva che a un certo punto assale come
un'ossessa questo giovane carcerato e anche quando poi spia,
con una certa inspiegabile invidia, i colloqui che ha con la
madre.
Ma Gustav Möller di suspense ne sa qualcosa. Ad esempio in
'The Guilty', il suo film più famoso e venduto in tutto il
mondo, Gyllenhaal è Joe, un agente di polizia che si è messo in
guai seri tanto da essere relegato a rispondere al 911.
La chiamata di una donna terrorizzata in auto, che finge di
parlare con la figlia, fa capire a Joe di essere in contatto con
una persona in grave pericolo, seduta accanto al suo rapitore.
Da quel momento il poliziotto deve usare tutta la sua esperienza
per mantenere il contatto sia con la donna che con il misterioso
criminale, e allo stesso tempo cercare di guidare l'intervento
per cercare di salvarla.
Nel caso di questo suo 'Sons' c'è sicuramente meno azione di
'The Guilty', ma più tormento, claustrofobia e un finale pieno
di sorprese.
Frase cult di questo thriller carcerario quella banalissima, ma
non troppo, che dice: "Certe persone non possono essere
salvate".
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