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Fascismo a Palermo, una storia di ceti dirigenti

Fascismo a Palermo, una storia di ceti dirigenti

Libro di Matteo Di Figlia ricostruisce i meccanismi di selezione

PALERMO, 27 marzo 2025, 15:12

Redazione ANSA

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MATTEO DI FIGLIA: FASCISTI A PALERMO (ISTITUTO POLIGRAFICO EUROPEO, 140 PAGINE, 14 EURO) Il fascismo a Palermo non si affermò con lo squadrismo, anche se non mancarono gli atti di violenza in tutto il circondario.
    La "rivoluzione" in camicia nera si presentò come un processo di formazione e di reclutamento di ceti dirigenti, amministratori, politici spesso di professione. I meccanismi di selezione vengono ricostruiti da Matteo Di Figlia, storico dell'università di Palermo, nel libro "Fascisti a Palermo" edito dall'Istituto poligrafico europeo.
    Nel fascismo e nel regime si ritrovano tanti esponenti siciliani di primissimo piano. Il caso più importante è quello del filosofo Giovanni Gentile, ideologo del regime, ma di forte rilevanza fu anche quello di Telesio Interlandi che, oltre a essere il promotore e direttore del "Tevere" tra i più importanti giornali del tempo, diresse "La difesa della razza", la testata nella quale trovò stimolo e ispirazione il pensiero razzista. L'oculista Alfredo Cucco rappresentò un'altra figura di "uomo nuovo" del fascismo siciliano (fu componente del direttorio) ma fu espulso dal partito dopo un'indagine su una discussa gestione di fondi. Tornò ad avere incarichi dal 1943 prima nella Repubblica di Salò e poi come deputato del Msi nel parlamento repubblicano.
    La presenza dei siciliani nel sistema di potere fascista si concentrò nella prima fase del regime. Cominciò a ridursi a partire dal 1935, quando Antonio Albertini lasciò l'incarico di sottosegretario al ministero di grazia e giustizia, Ruggero Romano quello al ministero delle Comunicazioni e Guido Jung la guida del ministero delle Finanze.
    Il confronto con la mafia fu uno dei punti cardine dell'azione del fascismo in Sicilia. Dopo l'operazione condotta dal prefetto di ferro Cesare Mori, i vertici del partito, i questori e i prefetti interagirono con i gruppi mafiosi ora per tenerli lontano dai gangli del potere locale ora cooptandoli come parte di un notabilato del quale si cercava l'appoggio.
   
   

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