PIETRO SPIRITO, E' NOTTE SUL CONFINE (Guanda Noir; 250pp; euro 18) C'è un merito indiscusso in "E' notte sul confine" di Pietro Spirito che travalica il valore dell'intreccio narrativo, la profondità dei personaggi e tutto l'armamentario del buon giallo: è l'aver saputo trasmettere quel manto di malinconia misto a vecchiume che era calato nel dopoguerra su Trieste, riverbero italiano della tristezza silenziata dell'oltre cortina di ferro, e sotto il quale si agitavano violente dinamiche sociali che i trattati di Parigi del 1947 e il Memorandum di Londra del 1954 non avevano placato.
Se all'Est la tristezza silenziata scaturiva da ordine, pulizia, formazione, efficienza (non quella amministrativo-burocratica) imposti con la forza, a Trieste la malinconia - città più austriaca e balcanica che non italiana - si manifestava in una certa trasandatezza pubblica, nel ripiegamento in se stessi conseguenza di quasi un secolo di massacri, nelle giacche a quadroni con cravatte non intonate. E una Bora che era un vento fortissimo e non ancora un tratto identificativo della città.
Era la Trieste affollata di profughi, misteri, gente che si arrangiava, spie, dal confine troppo vicino per cui bastava salire sul Carso per incrociare gli sguardi vigili e minacciosi dei graniciari jugoslavi. Quel confine non era la demarcazione tra due Stati ma un abisso che divideva il mondo capitalista da quello socialista, l'Occidente a matrice statunitense dall'Est di marca sovietica.
In questo turbolente contesto nel dicembre 1970 un giornalista locale che lavora anche per il Sid (Servizio informazione difesa, i servizi segreti dell'epoca) si imbatte in una intricata vicenda cominciata con l'assassinio di un soldato di leva, anche lui reclutato dai servizi. Non è un momento storico qualunque: in alcuni ambienti si diffonde la notizia che il principe nero, Junio Valerio Borghese, sta preparando un colpo di Stato, forte dei consensi che ancora riscuoteva tra le truppe a ogni livello. Della notizia sono a conoscenza i servizi jugoslavi - ovviamente contrari a un golpe fascista - la Cia - non troppo convinta di insediare a Roma un esecutivo sul modello del regime dei colonnelli in Grecia - e i servizi italiani, che mirano a difendere il sistema democratico nonostante i tanti governi dalla brevissima durata, nella fattispecie quello in carica, del democristiano Emilio Colombo.
Nell'agitato acquario di eventi reali come questo, come i campi di concentramento italiani, i traffici di armi dalla Jugoslavia verso l'Italia via mare e le stragi naziste si sviluppa la storia (di fantasia?) del cronista Ettore Salassi.
Sarà perché la sua vita privata è un disastro, in questa vasca Salassi si muove con disinvoltura, intelligenza e coraggio. La tendenza a innamorarsi con facilità (e con altrettanta rapidità a fuggire dalle relazioni) come della bella Maya, anch'ella dalla vita intricata, non frenano nel giornalista il perseguimento di un obiettivo che potrebbe rivelarsi un requisito di stabilità anche per il suo equilibrio privato.
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