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Il terzo mandato fa discutere, Salvini porta il caso Zaia al consiglio federale della Lega

Il terzo mandato fa discutere, Salvini porta il caso Zaia al consiglio federale della Lega

FdI: 'Dia spazio agli alleati'. Gasparri: 'Sfameremo il governatore'

ROMA, 16 gennaio 2025, 11:00

di Michela Suglia

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Zaia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Zaia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il pressing della Liga veneta su Matteo Salvini sembra aver funzionato. Oggi la prelazione rivendicata dai leghisti (nordisti, soprattutto) sulla terra amministrata da 15 anni da Luca Zaia e parallelamente la sfida al terzo mandato dei governatori, animerà il consiglio federale della Lega.

"Abbiamo una riunione del Federale e vedremo se si chiuderà la questione o si dovrà discutere ancora", mette in chiaro il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari. Un messaggio interno al Carroccio (probabilmente per indicare la linea e rassicurare i veneti più furiosi) ed esterno. Diretto cioè a Fratelli d'Italia, per spegnerne le ambizioni sulla regione. Legittime essendo diventato il primo partito, ma ancor di più per la Lega e la storia amministrativa e politica che lì può vantare.

"Penso che non si debba arrivare a una spaccatura e penso che Giorgia Meloni deve avere l'elasticità di capire che ci sono situazioni in cui bisogna dare spazio agli alleati", ammonisce Molinari sottolineando che ciò vale "indipendentemente da Zaia", con un inciso più o meno formale.

La riunione è convocata alle 13 a Roma e via Zoom. Al di là dei punti sul tavolo (ufficialmente il tesseramento e le elezioni amministrative di quest'anno), ormai per Salvini il terzo mandato è diventato un nodo. Politico e di governo, sempre più ingarbugliato e rischioso.

Va affrontato sia contro il fuoco amico, che da tempo il nord minaccia contro il segretario, sia con gli alleati. Le parole del 'doge' di martedì (sul 'prima il Veneto' e basta vincoli ai mandati) hanno fatto rumore. Dentro la Lega e fuori. Anzi, tanti nel Carroccio sperano che colpiscano soprattutto i meloniani.

Il mantra è quindi: con il Veneto non si scherza e la Lega non si tocca. Il ragionamento più lineare è di Molinari: "La Lega è il partito dell'autonomia, il Veneto è autonomista, io credo che gli alleati di questo debbano tenere conto" chiosando che "così è per il partito indipendentemente da Zaia". Un distinguo necessario visto che, se non cambia l'attuale legge, è difficilissimo salvare il 'soldato Zaia', al suo terzo giro (il secondo consecutivo) e dunque non più ricandidabile.

Ma la battaglia va fatta comunque. Se la intestano i veneti, seguiti dai lombardi, preoccupati. Anche se lì le amministrative sono più lontane, se la Lega perde il Veneto, nemmeno la Lombardia è più sicura. Un'ipotesi che potrebbe ricompattare tutto il partito. In chiave anti FdI, intanto.

Un big della Lega sintetizza così lo spauracchio: "Speriamo che Sardegna docet: alle ultime elezioni l'imposizione di Paolo Truzzu (di FdI) non ha funzionato - ricorda - e tanto meno denigrare per settimane il nostro Christian Solinas", a lungo in corsa e poi sostituito.

 

 

E nel centrodestra, se FdI tace (si sono già espressi contro la "personalizzazione" di Zaia), è Forza Italia a schierarsi. Da sempre contrari al terzo mandato, gli azzurri non hanno apprezzato l'affondo di Zaia sulle "bocche che da 30 anni sono sfamate dal Parlamento", cioè i parlamentari che possono contare sui mandati illimitati. A ribattergli è Maurizio Gasparri: "Troveremo un modo di sfamare Zaia che ha fatto l'amministratore locale, il ministro. Lo sfameremo", ironizza il presidente dei senatori forzisti.

Ma il consigliere veneto Luciano Sandonà della Lega chiude la querelle: "Zaia non ha certo bisogno di essere sfamato". Più tranchant Flavio Tosi, eurodeputato di FI e arcinoto rivale di Zaia: "In Veneto se il centrodestra è unito, dall'altro lato possono candidare financo il Padreterno. Vinceremmo noi". Insomma, basta correre uniti e se non ci sarà Zaia, amen.

Tempi duri, dunque, per la Lega. A Salvini tocca difendersi anche dalle critiche sulla registrazione dei loghi del partito da parte della sinistra. Segno di un segretario in difficoltà - è l'interpretazione - che si blinda contro il rischio di perdere il simbolo. Frecciate condivise da qualche leghista che contesta il revival del personalismo di Salvini e ironizza: "Sembra Beppe Grillo".

La Lega ufficialmente replica ricordando che è una procedura "avviata nel 2018, come atto dovuto di un partito che vuole ufficializzare la proprietà dei propri loghi". E dopo vari passaggi tecnici, si è conclusa. Il resto "sono fake news".

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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