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>>>ANSA/Vent'anni morte Wojtyla,quando Karol salvò ragazza ebrea

>>>ANSA/Vent'anni morte Wojtyla,quando Karol salvò ragazza ebrea

Da giovane seminarista. Il racconto del decano dei vaticanisti

ROMA, 26 marzo 2025, 17:16

Redazione ANSA

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(di Fausto Gasparroni) Mercoledì 2 aprile saranno vent'anni dalla morte di Giovanni Paolo II, il Papa diventato santo che mutò il corso della storia. E a ridosso della ricorrenza, diverse sono le pubblicazioni che commemorano la figura e la vita di questo "gigante" della Chiesa. Al di là delle analisi e delle rievocazioni, comunque, una in particolare, 'Karol. Il Papa che ha cambiato la storia" (Ed. Il pozzo di Giacobbe, pp.
    156, 17.00 euro), del decano dei vaticanisti Gian Franco Svidercoschi, ex vice direttore dell'Osservatore Romano, offre anche dettagli e risvolti rimasti tuttora inediti dell'esistenza di Wojtyla.
    Nello specifico, tra i capitoli in cui si parla dell'epoca del nazismo e del secondo conflitto mondiale, l'autore racconta un episodio pressoché sconosciuto, di quando nel 1945, da giovane seminarista, Karol salvò un'adolescente ebrea. Vicenda che, come molto altro nella vita del Papa polacco, nella temperie attuale assume sicuramente un significato ancora molto rilevante.
    Allora l'Armata Rossa aveva sferrato da Est l'attacco decisivo. Il 17 gennaio aveva conquistato Varsavia e quasi contemporaneamente le truppe sovietiche erano entrate a Cracovia. E presto la città si sarebbe riempita di profughi, arrivati da città e paesi distrutti o usciti dai lager. Karol in quei giorni si dava da fare con gli altri seminaristi per riparare i danni subiti dall'arcivescovado, e definito il lavoro aveva chiesto di recarsi a Czestochowa, per il bisogno di pregare la Madonna Nera e di rigenerarsi. Al ritorno, al cambio del treno nella stazione intermedia di Jedrzejow, vide per strada una scena straziante: una ragazza con l'uniforme a righe dei lager nazisti, stesa per terra, incapace di muoversi.
    "Ho fame", gli disse con un filo di voce. Karol le trovò del tè caldo, pane e formaggio, che la ragazza divorò furiosamente.
    Si chiamava Edith. "Edith e poi?", chiese Wojtyla. "Edith Zierer", rispose lei, con gli occhi che si riempivano di lacrime: "E' da tanto tempo che nessuno mi chiamava per nome, con il mio nome. Ormai ero solo un numero". Karol, come un po' tutti i polacchi, non sapeva ancora nulla dei campi di sterminio e delle camere a gas. Edith aveva 13 anni, era ebrea.
    La sua famiglia aveva girovagato a lungo per la Polonia per sfuggire alle retate naziste. Poi erano stati arrestati e rinchiusi in un ghetto. Avviati alla deportazione verso il lager di Plaszow, nella confusione al momento della partenza i genitori e la sorella erano stati messi su un treno, Edith su un altro. Quindi era stata trasferita nel campo di Czestochowa, dove, conoscendo il tedesco, l'avevano fatta lavorare nella produzione di munizione. E per questo era sopravvissuta.
    Finché erano arrivati i russi, i "liberatori", di cui però Edith non si fidava, avendo sentito che portavano gli ebrei in Siberia. E poi voleva ritrovare i suoi, senza sapere che i genitori erano finiti nelle camere a gas a Dachau, la sorella ad Auschwitz. Scappata su un treno che trasportava carbone, affamata, infreddolita, infestata dai pidocchi, si era buttata giù alla fermata a Jedrzejow, dove poi l'aveva trovata Wojtyla, l'unico a fermarsi, a soccorrerla. Karol la prese in braccio e la portò ad un'altra stazione, dove passavano i treni per Cracovia. Su uno di questi Edith incontrò altri ebrei, anch'essi provenienti da lager nazisti. Visto che tremava dal freddo, Karol si tolse il mantello nero e glielo mise sulle spalle, ma poi ritenendolo un prete già ordinato ("Guarda che quello ti fa rinchiudere in un monastero") la ragazza cominciò a diffidare anche di lui, che pure l'aveva salvata.
    A Cracovia scese prima di lui e si nascose dietro dei serbatoi di latte. "Edyta... Edyta", la chiamò Karol in polacco.
    E a lei quel suono sembrò così dolce che la convinse a uscir fuori, senza più paure. Quell'uomo non poteva volerle fare del male. E infatti, giunti a fatica nel centro della città, la affidò a un'organizzazione appena nata che si occupava dei fuoriusciti dai campi di sterminio, in particolare gli ebrei, e che subito l'avrebbe ospitata.
   

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